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Piccola storia delle mascherine protettive

La mascherina è indubbiamente un oggetto simbolo di questi sfortunati giorni in cui siamo alla presa con il Covid-19, e anche noi della Friûlpoint abbiamo in catalogo alcune proposte: le potete vedere cliccando qui. Non si tratta di dpi, dispositivi medici di protezione individuale, che è meglio riservare a chi affronta in prima linea il contagio, ma di quei dispositivi che ci è richiesto di indossare se non possiamo sempre mantenere il distanziamento per proteggerci da un eventuale contagio.

Ma al di là degli aspetti tecnici delle mascherine in uso oggi, qual è la loro storia? Quando sono state usate per la prima volta, da chi e per quale scopo?

Le prime notizie di mascherine protettive risalgono al I secolo, quando Plinio il Vecchio (circa 23-79 d.C.) descrisse l’uso di pelli di vescica animale per proteggere i lavoratori delle miniere romane dalla polvere di ossido di piombo rosso. Molto prima dello sviluppo di qualcosa che ricordasse una maschera chirurgica, se dovevano tossire o proteggersi, i più ricchi usavano dei panni di seta. Nel 13 ° secolo, Marco Polo raccontava come ai servi della corte di Kubilai Khan fosse richiesto di coprire naso e bocca con un panno di seta e filo d’oro quando servivano cibo all’imperatore. Mentre Nel XVI secolo, Leonardo da Vinci suggerì che un panno immerso nell’acqua potesse proteggere i marinai da un’arma tossica fatta di polvere che lui stesso aveva progettato.

L’uso più strettamente medico probabilmente ebbe inizio con la “peste nera” che da metà 1400 inizia a ripresentarsi più volte in Europa, falcidiando la sua popolazione. In alcuni dipinti rinascimentali si vedono alcune figure fare uso di fazzoletti per proteggersi il respiro. Alcuni quadri di Marsiglia nel 1720, epicentro di una peste bubbonica, mostrano becchini che trasportano i corpi con una stoffa avvolta intorno alla bocca e al naso. Queste protezioni si usavano per evitare di respirare i miasmi che erano ritenuti la causa della trasmissione delle malattie. Si credeva che la peste fosse nell’atmosfera, emanata dal terreno.

Risale al 1600 lo sviluppo di veri e propri dispositivi protettivi in caso di epidemia, durante le pesti di quel secolo, fra le quali quella descritta da Alessandro Manzoni ne I promessi sposi. Il medico francese Charles de Lorme che operò anche alla corte di Luigi XIV, il “Re Sole”, ideò la tenuta che siamo soliti associare ai “medici della peste”. Questi, per proteggersi dai miasmi indossavano maschere dal naso adunco, che veniva riempito di aromi, spezie – fra cui fiori secchi, lavanda, timo, aglio, mirra, chiodi di garofano, talvolta spugne imbevute di aceto… – e paglia. Anche gli occhi venivano protetti, grazie alla presenza di lenti di vetro. In aggiunta portavano una veste idropellente lunga fino ai piedi, insieme a guanti, cappello, e un bastone che serviva loro per visitare i pazienti  a debita distanza (immagine sotto).

Alla fine del 1870 la scienza scopre che la causa delle infezioni sono i batteri facendo cadere la teoria che le malattie vengano portate da miasmi, ma i modi per proteggersi restano un po’ gli stessi. E così, nel 1897, i medici iniziano a indossare le prime maschere: il primo a metterne una durante un’operazione chirurgica è il francese Paul Berger. Le mascherine chirurgiche si utilizzano per evitare la dispersione di batteri o virus in goccioline respiratorie e aerosol (droplet) che possono fuoriuscire dalla bocca e dal naso di chi le indossa. Si adattano liberamente al viso, e le particelle possano entrare di lato, quindi non sono progettate per filtrare l’aria.

Sono le mascherine respiratorie, invece, che creano una chiusura ermetica in modo da filtrare effettivamente l’inalazione. Pare che l’antesignana di queste venga dalla Cina. Si parla delle FFP1, FFP2 e FFP3, sigle che fino a due mesi fa non sapevamo cosa significassero e che oggi conosciamo bene. L’origine risale all’autunno del 1910, quando scoppiò una pestilenza nella Cina del Nord. Il virus uccideva il 100% degli infetti entro 24 a 48 ore dai primi sintomi: nessuno sopravviveva. La corte imperiale cinese chiamò un medico di nome Lien-teh Wu per fermare il contagio. Wu, che aveva fatto studi in medicina a Cambridge, stabilì, dopo aver condotto un’autopsia su una delle vittime, che la peste non era diffusa dalle pulci, come molti sospettavano, ma attraverso l’aria. E così ispirandosi alle maschere chirurgiche che aveva visto in Occidente, ne sviluppò una più dura di garza e cotone, che si avvolse saldamente attorno al viso e a cui aggiunse diversi strati di tessuto per filtrare le inalazioni. La sua invenzione fu una svolta: la produzione di mascherine respiratorie passò a numeri esorbitanti e aiutò a contrastare la diffusione della peste.

Fonti: Harper’s Bazaar, ultimavoce.it, estremeconseguenze.it, Wikipedia